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lunedì 30 aprile 2012

Il giornale dei gatti

Il giornale dei gatti






I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull'ultima pagina
la Piccola Pubblicità.

Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perchè tirano la coda.

Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria.

Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio.
Vegetariano, scapolo,
cerca ricco lattaio.
I gatti senza casa
la domenica dopo pranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:

per un' oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno a prepararsi
per i loro concerti.
Gianni Rodari
da

venerdì 27 aprile 2012

Rio Bo

Rio Bo

Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso...
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città
Aldo Palazzeschi

da


giovedì 26 aprile 2012

Mare

Mare
M'affaccio alla finestra, e vedo il mare;
vanno le stelle, tremolano l'onde.
Vedo stelle passare, onde passare;
un guizzo chiama, alito risponde.
Ecco, sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto, e dove meni?
 Giovanni Pascoli
da

La pioggia nel pineto

La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
Gabriele D'Annunzio
da

mercoledì 25 aprile 2012

Lucciole

Lucciole
Vanno, vanno col loro
 lumino mezzo verde,
come in soffio d'oro...
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Oh, non aprire il pugno
per afferrarle... Guai!
Esse, bimbo, non sai?
son le fate di giugno...
 «Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Bimbo, che ne faresti
d'un lumino cosi
lieve? Immagino, si,
che me lo spegneresti...
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Lucciole! Col lumino
loro, il lumino verde,
a qualcun che si perde
t insegnano il cammino:
sono le nostre stelle,
le stelle della Terra,
o tu che ami la guerra,
fanciulletto ribelle.
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
 Marino Moretti
da

martedì 24 aprile 2012

Valentino

Valentino
Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de' tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: in vece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; ché mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d'un mese
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro contadinello,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l'uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch'oltre il beccare, il cantare, l'amare,
ci sia qualch'altra felicità.
 
Giovanni Pascoli
da

Giugno

Giugno
Ecco, è piena la spica,
e la falce è nel pugno.
Il buon sole di giugno rallegra la fatica.
Or la canzone sale
dal campo del lavoro,
e si accompagna a un coro
stridulo di cicale.
E sale il canto anelo
dalle bocche lontane,
lodando, in terra, il pane
ed il buon Padre in cielo.

 Marino Moretti
da

lunedì 23 aprile 2012

La casa delle farfalle

La casa delle farfalle

Settembre andava per la valle
tirandosi dietro gli ori suoi
lento come al giogo i buoi,
e noi abitavamo felici
la casa che tu dici
delle farfalle.
Le farfalle errano senza fine
leggiadre candide cenerine
gialle cerulee verdine:
vestite di seta e mussoline,
così fragili, così fine.
Trepidavano in fola ai vetri,
sfioravano tende e pareti:
di semplici e cheti
giri di danza
empievano l'estatica stanza:
finchè sazie del moto perenne
si posavano ed erano gemme.
Erano la più vaga cosa
del mondo: la gioia che non osa
traboccare nel canto,
l'aiuto del verso,
l'immagine della mia musa,
la freschezza del nostro cuore,
l'elogio del nostro amore
sempre uguale e diverso,
e ti piacevano tanto!
Angiolo Silvio Novaro
da

Davanti San Guido


Davanti San Guido

 I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardar.

Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
bisbigliaron ver me co 'l capo chino -
perché non scendi? perché non ristai ?
Fresca é la sera e a te noto il cammlino.
Oh siéditi a le nostre ombre odorate

ove soffia dal mare il maestrale :
ira non ti serbiam de le sassate
tue d'una volta: oh, non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
deh perché fuggi rapido cosi ?

Le passere la sera intreccian voli
a noi d'intorno ancora. Oh resta qui! -
- Bei cipressetti, cipressetti miei,
fedeli amici d'un tempo migliore,
oh di che cuor con voi mi resterei

guardando io rispondeva - oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
or non è più quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... Via, non fo' per dire,
ma oggi sono una celebrità.


E so legger di greco e di latino
e scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù:
non son più, cipressetti, un birichino,
e sassi in specie non ne tiro più.

E massime a le piante.- Un mormorio

pe' dubitanti vertici ondeggiò,
e il dì cadente, con un ghigno pio,
tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
una gentil pietade avean di me,

e presto il mormorio si fé parole:
- Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
che rapisce de gli uomini i sospir,
come dentro al tuo petto eterne risse

  ardon, che tu né sai né puoi lenir.
A le, querce ed a noi qui puoi contare
l'umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come Pacato e azzurro è il mare,
come ridente a lui discende il so !


  E come questo occaso è pien di voli,
com'è allegro de' passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire.

Rimanti; e noie dimani a mezzo il giorno,
 che de le grandi querce a l'ombra stan
ammusando i cavalli e intorno intorno
tutto è silenzio ne l'ardente pian,
ti canteremo noi cipressi i cori
cha vanno eterni fra la terra e il cielo:

da quegli olmi le ninfe usciran fuori
te ventilando co 'l lor bianco velo;

e Pan l'eterno che su l'erme alture
a quell'ora e ne i pian solingo va,
il dissidio, o mortal, de le tue cure

  ne la diva armonia sommergerà. -

Ed io - Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
la Tittì - rispondea -; lasiatem'ire.
È la Tittì come una passeretta,
ma non ha penne per il suo vestire.



Che vuoi che diciam dunque al cimitero,
dove la nonna tua sepolta sta ? -
E fuggìano, e pareano un corteo nero
che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero,

giù de' cipressi per la verde via,
alta, solenne, vestita di nero,
parvemi riveder nonna Lucia.

0 nonna, o nonna! deh com'eri bella
quand'ero bimbo! ditemela ancor,
   ditela a quest'uom savio la novella
di lei, che cerca il suo perduto amor !

- Sette paia di scarpe ho consumate
di tutto ferro per te ritrovare:
sette verghe di ferro ho logorate

per appoggiarmi nel fatale andare:
sette fiasche di lacrime ho colmate,
sette lunghi anni, di lacrime amare:
tu dormi a le mie grida disperate,
e il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.


Deh come bella, o nonna. e come vera
è la novella ancor! Proprio così.
E quello che cercai mattina e sera
tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

sorto questi cipressi, ove non spero

ove non penso di posarmi più:
forse, nonna, è nel vostro cimitero
tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggia la vaporiera'
mentr'io così piangeva entro il mio cuore;

e di polledri una leggiadra schiera
annitrendo correa lieta al rumore.

Ma un asin bigio*, rosicchiando un cardo
rosso e turchino, non si scomodò:
tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo,

e a brucar serio e lento seguitò. 

Giosuè Carducci
da